La donna carbone

Acrobazie di una copywriter freelance.

Un anno esatto dopo essere diventata mamma mi sono licenziata. Alle spalle avevo sette anni di lavoro dipendente in una bella azienda toscana, viaggi all’estero, colleghi che mi portavano il caffè macchiato senza zucchero, e un contratto sicuro. Non è stata una decisione leggera. Ma le nuove esigenze familiari e le inclinazioni professionali non si accordavano più con quella sistemazione lavorativa.

Cento chilometri di macchina al giorno e un solo marchio da comunicare mi stavano stretti. Dall’altro lato dell’indeterminato intuivo qualche possibilità di vivere del mestiere di copywriter, anche lontano dai grandi centri o dalle grandi agenzie. Un lavoro tutto da costruire, persino nella mia città: Livorno, che è perfetta come setting per spot di auto da ricchi ma decisamente povera di brand.

Anni di pensieri sotterranei e poi, è successo tutto in un lampo: il 20 ottobre 2016 ho lasciato l’azienda per lanciarmi nella mia impresa autonoma, prima associata a una cooperativa, poi con partita IVA a regime forfettario. La NASpI, per i primi mesi, e qualche buona relazione costruita negli anni, sono state la mia unica rete di protezione. Nonostante la pericolosità del lancio, sono ancora viva. Indolenzita, leggermente abbrutita dal logorio di un mestiere ancora in via di definizione, ma felice. Credo.

Da quando sono copywriter freelance nessun timbracartellini tiranneggia i miei tempi. Ma il tempo lavorativo assume contorni fumosi, se non lo tieni a bada sconfina e fagocita ore e pensieri inermi. Ci sto ancora lavorando. Mi vesto comoda, in divise casalinghe che verrebbero bocciate seduta stante da un Enzo Miccio schifato. Gli accessori e le giornate fuori casa mi salvano dal limbo del pigiama perpetuo. E poi, non ringrazierò mai abbastanza IKEA per il suo BYLLAN. Anche se probabilmente dovrei smettere di lavorare tipo sceriffo con i piedi sulla scrivania. Più per la schiena che per il decoro.

Avere una buona schiena è fondamentale, perché sono passati più di cinque anni da quel lancio ma non ho ancora smesso di fare acrobazie. In questo mestiere, che si trasforma con le evoluzioni dei media e della comunicazione d’impresa, è tutto, tanto, ancora da definire, bilanciare, improvvisare cercando di farsi meno male possibile.

Fra le acrobazie più difficili metterei: la delicata arte del lancio dei preventivi; la danza acrobatica del portafoglio clienti; i funambolismi tra ore di studio, vita e lavoro; ma soprattutto vestire i panni del domatore di reazioni verso chi ancora non sa esattamente cosa fai o, peggio, chi pensa di saperlo sabotando tutti gli sforzi fatti per creare cultura e consapevolezza intorno al mestiere del copywriter.

Lancio dei preventivi

Probabilmente non ho ancora imparato a farlo come vorrei ma il mio conto in banca non è ancora stato trafitto. Per cui mi sento di condividere qualche consiglio che potrebbe aiutare chi deve ancora cominciare.

Innanzitutto guardati intorno. Non esiste un tariffario del copywriter ma in rete si trovano un po’ di cose per iniziare a farsene uno proprio. Esistono copywriter che non fanno segreto dei propri compensi, almeno in linea di massima. Per ognuno è bene considerare il tipo di lavoro, l’anzianità e, sì, anche la posizione geografica. Esistono poi ottimi consigli come i conti della serva di Daniela Montieri. E sondaggi specifici, come questo sullo stipendio dei copywriter freelance oggi in Italia, che aiutano a farsi un’idea anche in fase di compilazione. L’importante è affidarsi sempre a fonti autorevoli.

Secondo consiglio: tieni il conto delle ore che impieghi per portare a termine ogni progetto, che sia un naming o un articolo di blog, i testi per un sito o quelli per un radio. Fallo mese dopo mese, anno dopo anno. Non tanto per applicare una tariffa oraria. Il tempo speso non equivale necessariamente al valore di un lavoro. Dopo anni di esperienza ci sono lavori che puoi fare in pochissimo tempo e che possono valere moltissimo. Tenere il conto delle ore ti aiuterà a organizzare il lavoro, a valutare se puoi prendere nuovi clienti, e, soprattutto, a capire la soglia minima al di sotto della quale è meglio buttare giù i piedi dalla scrivania e correre a fare un aperitivo sul mare.

Terzo e ultimo consiglio: gestisci le tue tariffe come farebbe un hotel. Segmenta i clienti in diversi profili tariffari e per ognuno di questi cerca di valutare la massima cifra che ogni cliente è disposto a spendere per ottenere il tuo servizio. Il preventivo che fai per un’azienda o per un’agenzia non potrà essere lo stesso che applichi a un piccolo brand o a un libero professionista. La quotazione per una campagna locale non potrà essere identica a quella per un progetto nazionale o internazionale. Ecco perché negli anni mi sono costruita un tariffario personale che oscilla da un prezzo minimo a uno massimo.

Per il resto affidati a un buon commercialista e prendi bene la mira.

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Danza acrobatica del portafoglio clienti

A proposito di segmentazione dei profili tariffari. In questi anni ho trovato molto utile avere un portafoglio clienti variegato, oltre che, ovviamente, clienti col portafoglio. Aziende strutturate e piccoli esercizi commerciali, imprese locali e brand nazionali, agenzie del territorio e network di professionisti dislocati in mezza Europa, agenzie nazionali e liberi professionisti.

Di solito con l’imprenditore di un’azienda costruisci un rapporto virtuoso di fiducia, senza intermediari e con margini più alti. D’altra parte, collaborando con le agenzie, riesci a lavorare su progetti più grandi e soddisfacenti, godere di tutti i benefici del lavoro di squadra (se ben gestito), oltre che avere una maggiore continuità e varietà di clienti. E ancora, se sui clienti più grandi ti focalizzi su alcuni servizi in particolare (l’email marketing, il naming di prodotti, la stesura di copy per campagne digitali), per i clienti più piccoli puoi cimentarti in una gestione più completa della comunicazione e nella costruzione del brand da zero. Io credo che si possa imparare tanto da ogni situazione e poi, magari, nel tempo, se possibile, scegliere il mix più giusto per sé.

Funambolismo orario

Non voglio dilungarmi sull’annosa questione del bilanciamento fra lavoro e vita privata, soprattutto per noi copywriter. Soprattutto per noi copywriter freelance. Soprattutto per noi copywriter freelance con figli. Voglio però limitarmi a sottolineare quanto sia vitale per un creativo dare il giusto spazio alla parte non lavorativa del lavoro. Ai romanzi che si incollano agli occhi rossi, ai concerti infrasettimanali, alle mostre fotografiche, alle corse mattutine, alle chiacchiere fra estranei, alle relazioni fuori dagli schermi, alle letture lente, alla televisione trash, alle creatività brillanti del presente e del passato. Purtroppo è sempre più difficile ricordarlo a te stesso e a chi ti dà da lavorare.

Domatore di reazioni

Copywriter del ventunesimo secolo, facciamocene una ragione, il nostro primo dovere è spiegare a noi stessi e agli altri in cosa consiste esattamente il nostro lavoro. E negli altri non includo solo madri, mariti, fidanzate e famiglie, nel conto troviamo clienti di ogni tipo, comprese tante agenzie di comunicazione. Raccontare a clienti e collaboratori quello che fai è il primo passo per valorizzare i tuoi servizi. Facciamolo sempre, dalla prima chiamata conoscitiva ai preventivi dettagliati.

E poi impariamo a domare le reazioni di fronte a chi, guardando un suo spot su Sky, dirà “Uh che bello! Ma tu cos’hai fatto? Il logo?”, oppure “Ehi! Tu che sei brava con i bigliettini, mi scrivi gli auguri di Natale? Di Pasqua? Di benvenuto per la secondogenita di Chiara?”.

Personalmente oggi riesco a reprimere gli istinti più biechi di fronte ai fuffologi del copywriting, li ignoro, faccio solo qualche screenshot ogni tanto per non dimenticare. Riesco perfino a farmi una risata di fronte agli equivoci più buffi, “Senti, tu che ti occupi di copyright…”. Ma ancora non riesco a lasciar perdere chi pensa che fare il copy sia scrivere blocchetti di testo, o, peggio, fare la copia carbone di testi senza anima. Carbone sì, divento nera di rabbia, perché a dispetto del nome, se c’è una cosa che il copy non fa è proprio copiare.

Jessica Manzella